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FAQ
Nel suggestivo scenario della Sala dei Quaranta di Palazzo del Bo, sede dell'Università di Padova, si è aperta la XII edizione del 4e – Engineering, Energy, Ecology, Ethics, l’appuntamento annuale dedicato al dialogo tra impresa, ricerca, cultura e territori, organizzato e promosso da Jacobacci & Partners.
Nei saluti istituzionali, Jacobacci & Partners, l’Università di Padova e la Fondazione Unismart raccontano il valore del dialogo tra ricerca, impresa e territorio, cuore di un’Italia che innova attraverso collaborazione, responsabilità e libertà di pensiero.
Il tema dell’edizione 2025 – “Dall’arte all’ingegno: il valore delle intelligenze italiane nell’era dell’AI” – celebra le molteplici forme di intelligenza che animano il nostro Paese: creativa, tecnica, imprenditoriale, etica e collettiva. Intelligenze che si intrecciano in un ecosistema dove arte, scienza e impresa convivono e si alimentano reciprocamente.
Nel keynote “L’intelligenza oltre la macchina” Federico Faggin ripercorre il viaggio dal microprocessore alla coscienza: perché i simboli non bastano e il significato nasce dall’esperienza interiore. Un invito a usare l’IA con consapevolezza, in un universo olistico dove cooperazione e amore sono la vera forza evolutiva. Con chiarezza e passione, riflette sui limiti dello scientismo, sulla differenza tra la mente umana e l’intelligenza artificiale, e sul rischio di ridurre l’uomo a una macchina.
Dalla rivoluzione digitale alla rivoluzione della coscienza
Federico Faggin, dopo aver progettato il microprocessore Intel 4004 e dato impulso allo sviluppo dell’informatica moderna, ha iniziato studiare le neuroscienze per creare computer in grado di imparare da soli. È in quel momento che nasce la domanda che lo accompagnerà per quasi quarant’anni: come fanno i segnali elettrici e biochimici del cervello a trasformarsi in sensazioni e sentimenti? Da qui emerge il cosiddetto problema difficile della coscienza — il mistero del passaggio dall’attività fisica alla percezione soggettiva.
Noi non siamo il corpo: siamo campi di coscienza
Nella visione di Federico Faggin, l’essere umano non coincide con il proprio corpo, ma è un campo quantistico cosciente dotato di libero arbitrio. Il corpo è lo strumento attraverso cui il campo esperisce la realtà, così come un pilota guida un drone in “first person view”. La coscienza, dunque, non nasce dal cervello: è il campo che utilizza il cervello per interagire con il mondo.
Solo la coscienza — e non una macchina — può attribuire significato ai simboli. È questa capacità di dare senso che distingue radicalmente l’essere umano dall’intelligenza artificiale.
Il rischio dello scientismo e il mito dell’IA-oracolo
Federico Faggin mette in guardia contro lo “scientismo”, una visione riduzionista che considera la realtà fatta solo di materia e ignora l’interiorità. Se accettiamo questa prospettiva, rischiamo di credere che l’intelligenza artificiale sia superiore all’uomo, trasformandoci in suoi schiavi.
L’IA, spiega Faggin, non comprende nulla: elabora simboli, ma non vive esperienze interiori. È potente, ma priva di significato. Usarla responsabilmente significa riconoscere che noi siamo più della macchina, che la conoscenza autentica nasce dall’esperienza interiore e non dalla mera elaborazione di dati.
Un universo olistico e interconnesso
Nella visione di Federico Faggin, l’universo non è un insieme di parti separate, ma un tutto olistico e interconnesso, come rivela la fisica quantistica attraverso il fenomeno dell’entanglement. Ogni essere cosciente è una “parte intera” dell’Uno: un frammento che contiene in sé l’intero, proprio come ogni cellula del corpo racchiude il genoma dell’organismo.
Questa realtà è olografica e spirituale: la conoscenza non è esterna, ma nasce dall’interno. L’universo stesso è un processo attraverso cui la totalità conosce se stessa.
Cooperazione, amore e conoscenza di sé
Se siamo tutti parte dello stesso Uno, allora competere significa contraddirne la natura. La vera evoluzione non passa per la selezione del più forte, ma per la cooperazione, principio che Faggin lega all’amore.
L’amore, spiega, è una forza che mette in risonanza i campi di coscienza, come nel condensato di Bose-Einstein dove molte particelle si comportano come una sola. È il “sapore del significato”, l’esperienza più alta dell’interiorità. Attraverso l’amore, gli esseri si accordano in un unico stato, riconoscendo nell’altro una parte di sé.
Oltre il corpo, oltre la macchina
Faggin conclude con una visione che travalica il confine tra scienza e spiritualità. La coscienza non muore con il corpo: il campo che siamo continua a esistere, mantenendo la memoria del significato delle proprie esperienze.
Comprendere questo — che la nostra essenza non è materiale, che il significato non è calcolabile, che l’intelligenza va oltre la macchina — è, per Faggin, il passo necessario per usare la tecnologia con consapevolezza e non esserne dominati.
Intervengono:
- Luca Giavi, Direttore, Consorzio di Tutela della DOC Prosecco
- Vincenzo Girlando, Group Chief Technology Officer, Nice
- Antonio Palermo, Group Data Protection Officer, Angelini Industries
Un consorzio che difende un patrimonio collettivo, una tech company che progetta il “quotidiano intelligente”, un gruppo industriale che mette la governance al centro: nella stesso dibattito, tre traiettorie convergono sullo stesso punto: innovare restando fedeli alla propria identità.
Nel sistema del Consorzio di Tutela della DOC Prosecco, la scala è quella di un’economia territoriale intera: 12.000 viticoltori, centinaia di cantine, un nome che va protetto ogni giorno. Qui l’AI non è un oracolo: è un filtro di affidabilità e un moltiplicatore di prossimità. Un modello generativo “a dati certificati” risponde ai consumatori con contenuti controllati; algoritmi e basi giuridiche mappano usi impropri e “evocazioni” del marchio, creando una prima selezione dei casi da affidare ai legali. Sullo sfondo, la sfida vera è culturale: raccogliere e condividere dati in forma anonima, restituire insight utili alle aziende, rendere visibile il valore del contributo—e così far avanzare insieme tutela, sostenibilità e accettazione sociale.
Nel mondo di Nice l’innovazione è pratica quotidiana: reti neurali nei prodotti (visione e suoni per la sicurezza), un assistente vocale locale e privacy-preserving, manutenzione predittiva, installazioni guidate e ottimizzazione energetica degli edifici. Nei processi, l’AI accelera senza sostituire: coding assistito nelle parti più ripetitive, brand protection sul web, CRM e traduzioni. Tutto passa da prove controllate, da un design inclusivo che parla “linguaggio naturale” e da una conformità proattiva all’AI Act, con ambienti chiusi per ridurre i rischi e linee guida globali su legal, privacy ed etica.
In Angelini Industries, l’AI diventa architettura organizzativa: formazione diffusa, per la leadership e per le 6.000 persone che vi lavorano, hub interno e office hours, matrici RACI e coinvolgimento sistematico di Security, Privacy, IP, IT/Data & Analytics. Le sandbox consentono di sperimentare in sicurezza; tutelando al tempo stesso know-how e dati sensibili. Il risultato è un cambio di postura: non “aggiungere” tecnologia, ma riscrivere processi e competenze perché la persona resti il soggetto decisionale e la macchina uno strumento affidabile.
Tre lezioni sono emerse dalla tavola rotonda: dati di qualità e governance sono il vero vantaggio competitivo; inclusività, privacy e compliance non frenano, abilitano la scala; la tradizione si rafforza quando tecnologia e responsabilità si intrecciano: dal vigneto alla smart home, fino ai laboratori.
Intervengono:
- Daniele Bettini, giornalista, Be Content Communication
- Carlo Martino, Professore Ordinario di Design, Sapienza Università di Roma Dipartimento PDTA
- Andrea Menini, Professore presso il Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali, Università di Padova
- Flavio Ubezio, CEO, Lapetre
Dalla formazione alla manifattura, dal design all’agroalimentare: i tavoli tematici hanno mostrato che l’intelligenza artificiale non è più una frontiera da esplorare, ma un ecosistema da governare. A emergere è un filo comune: la tecnologia può diventare leva di crescita solo se ancorata a cultura, competenze e consapevolezza.
Edutech: la sfida della formazione tra capacità umane e artificiali
Nel tavolo Edutech, la metafora dell’apprendista stregone diventa manifesto di questa fase storica. L’AI è un potere accessibile a tutti — studenti, docenti, sviluppatori e regolatori — e proprio per questo richiede equilibrio. Le risorse ideali andrebbero distribuite in modo quasi paritario tra chi impara (33%), chi insegna (34%) e chi costruisce o regola la tecnologia (33%). La priorità non è solo l’alfabetizzazione digitale, ma lo sviluppo di capacità critiche, empatia, creatività e giudizio etico: competenze profondamente umane che garantiscono autonomia e responsabilità nell’uso delle macchine. L’efficienza, per essere progresso, deve restare inclusiva.
Alimentare il futuro, coltivare l’innovazione: territori, agritech e sostenibilità
Nel tavolo dedicato all’Agritech, l’AI è già entrata nei processi produttivi e di controllo qualità ma resta diseguale la capacità di adozione. I benefici sono concreti: predizione delle rese, ricettazione dinamica, riduzione degli sprechi. Tuttavia, si apre il tema del “backup umano”: quando l’automazione sostituisce l’esperienza, il rischio è perdere le competenze di base. La tracciabilità è un altro snodo chiave: l’AI diventa strumento di autenticazione, valorizzazione e difesa dei brand. Rimangono limiti strutturali — dimensioni ridotte delle imprese, infrastrutture digitali fragili, dataset imperfetti — che frenano l’efficienza promessa. L’obiettivo condiviso è chiaro: prima ottimizzare ciò che esiste, poi costruire il nuovo.
Creatività, design e impresa: il saper fare che evolve
Nel tavolo Creatività e Design, si è parlato di un’integrazione progressiva tra intelligenza e immaginazione. L’AI accelera i processi, potenzia il benchmarking e abilita scenari di “intelligenza organizzativa distribuita”. Ma il vero orizzonte non è tecnologico, è culturale: unire saperi umanistici e scientifici, formare figure ibride capaci di dialogare con le macchine senza rinunciare al pensiero critico. La formazione diventa la chiave per superare diffidenze e proteggere la radice più profonda del made in Italy: la creatività.
Dall’industria alla robotica: ingegno in movimento
Dal tavolo Industria e Robotica emerge una fotografia nitida: l’adozione delle tecnologie digitali nelle PMI italiane è ancora bassa. Le ragioni? Scarsa consapevolezza, mancanza di dati, ROI incerti, infrastrutture obsolete.
I rischi percepiti superano le opportunità: divari tecnologici crescenti, perdita di competenze operative, sostenibilità economica e ambientale, vulnerabilità cyber. Ma dove l’AI viene integrata, genera valore tangibile: manutenzione predittiva, controllo qualità, progettazione assistita, logistica ottimizzata. La vera opportunità sta nel trasformare la conoscenza liberata dall’automazione in creatività, collaborazione e intelligenza collettiva.